Le interviste di Cinema e Ambiente continuano ad indagare quello che è il punto di vista dei filmmaker che decidono di raccontare tematiche ambientali.
Nei giorni scorsi abbiamo avuto il piacere di raggiungere digitalmente un membro del collettivo Boschilla, Andrea Chiloiro.
Abbiamo conosciuto Boschilla nel 2019 con Entroterra, Miglior Lungometraggio a Cinema e Ambiente Avezzano 2019.
Ciao Andrea! Entroterra è un documentario che racconta lo spopolamento dei luoghi dell’Appennino, e tutto ciò che ne deriva, ma con la pandemia stiamo assistendo a un inizio di ripopolamento dei borghi italiani. Secondo te, quello del ripopolamento, è un fenomeno temporaneo o stiamo assistendo soltanto all’inizio di un qualcosa destinato a durare?
Sì, con il lockdown abbiamo assistito ad una fuga dalla città a favore di realtà più piccole e rurali da parte di giovani lavoratori che sono in grado di portare avanti i loro impieghi da remoto. C’è da dire che questo processo, questo spostamento generazionale che coinvolge i giovani stanchi di una realtà urbana e di un certo modello economico e lavorativo, ha avuto inizio già da tempo, i giovani stanno riscoprendo la voglia di un vivere più semplice. E dal punto di vista qualitativo è un processo estremamente importante, che però, purtroppo, non basta per occupare quel grande gap demografico e sociologico che continua ad esserci nelle terre alte.
Nel momento in cui un giovane voglia trasferirsi in queste realtà, senza però voler abbracciare uno stile di vita rurale, c’è un modo per coniugare i limiti di queste terre con i bisogni dei lavoratori da remoto di oggi?
Direi che questa è proprio la domanda centrale, coglie tutte le contraddizioni e le ambiguità di questi processi. È esattamente la scommessa per il futuro di queste aree interne. Possiamo e dobbiamo sicuramente raccogliere tanto dall’eredità che ci hanno lasciato questi luoghi, ma in un certo senso dobbiamo provare ad aggiornare alcune modalità e processi all’interno di queste aree. Non significa assolutamente che l’Appennino deve diventare una periferia della città, però pensiamo che sia necessario un ammodernamento in modo da venire incontro alle esigenze dei giovani. Sicuramente c’è da fare prima i conti con quei servizi essenziali che latitano in queste zone, come i presidi sanitari, i mezzi e i servizi, che sono poi quei motivi che hanno portato e che portano allo spopolamento di esse. Certamente, al giorno d’oggi, è altrettanto importante avere una connessione internet che permetta di lavorare anche a chi, per esempio, decide di aprire una azienda agricola e non vuole limitarsi al commercio di prossimità ma espandere i suoi orizzonti. Questa è sicuramente la scommessa per il futuro dei borghi di cui parliamo.
Nel documentario c’è una scena in particolare che riassume la speculazione che deriva dall’abbandono di quei luoghi: il treno ad alta velocità che attraversa un monte. Qual è la sottile linea che divide il progresso dalla speculazione?
Beh, qui c’è proprio un cambio di prospettiva totale da quello che è stato il punto di vista novecentesco. Il progresso ora passa da questi posti e non dalla città, come in precedenza. In questi luoghi, che rappresentano il margine, c’è un grande cambio di prospettiva che porta queste terre al centro di quello che può essere il modello di vita urbano, il modello di vita capitalistico, che è l’unico che conosciamo. La città è in crisi e non riesce a trovare delle vie di fuga salvifiche per chi la abita, allora questi territori diventano fondamentali per sperimentare una vita sostenibile e allo stesso tempo produttiva. Purtroppo non ho risposte definitive e certe, ma io scommetto nella possibilità che questi territori diventino laboratori politici e sociali per immaginarsi il futuro, per immaginare questo equilibrio che probabilmente in un contesto cittadino, un contesto completamente saturo, non offre ulteriore campo per pensare l’innovazione e la sperimentazione. La città potrebbe, e dovrebbe, prendere spunto da queste situazioni per trarre nuove idee per il futuro.
Nel documentario viene affrontato anche il ripopolamento di quei luoghi tramite l’accoglienza integrata o le case vendute a 1 euro. Ritieni che siano iniziative valide a lungo termine o dei semplici fuochi di paglia?
C’è una frase della professoressa Pellegrino, più o meno verso la fine, ci dice che i migranti possono essere sicuramente una risorsa per questi paesi, ma bisogna vedere se questi paesi possono essere funzionali a quel progetto di vita che hanno fatto nel momento in cui hanno deciso di venire qui. Questa è una questione centralissima. Abbiamo visto, soprattutto ultimamente, che ha preso piede questa retorica romantica della vita in Appennino, che noi di Boschilla troviamo reazionaria perchè non ha niente a che fare con la materialità di questi luoghi, non perchè sia difficile, ma perchè sono luoghi molto complessi. Penso però che alcuni di questi progetti siano assolutamente dei fuochi di paglia. Non credo si possano ricostituire delle comunità, anche in un piccolo borgo, con le case vendute ad 1 euro. C’è bisogno di una progettazione economica, politica e sociale molto più complessa. Da questo punto di vista ci sono progetti che cercano di sostenere e finanziare la rigenerazione di queste aree. Quello che apprezzo tanto di questo periodo è l’esplosione di questa vera e propria tensione di ricerca e di saperi, una ricerca accademica volta a capire come rigenerare questi territori. Essendo luoghi con un bagaglio storico, politico e naturalistico estremamente complesso, hanno bisogno dell’attenzione dei ricercatori e degli studiosi che devono progettare la vita in queste terre.
Quali aspettative avete per il futuro delle montagne interne? Pensate ci si stia muovendo in una direzione che possa portare a un concreto miglioramento delle situazioni che raccontate?
Eh, domanda difficile. Noi di Boschilla stiamo lavorando a un progetto, una scuola di ecologia politica in montagna. Sono dei seminari all’interno di questo paesino montano in cui ricreiamo quelle che sono offerte culturali tipiche dei contesti urbani. Abbiamo avuto accademici di fama internazionale venuti a confrontarsi tra di loro e a esporre alle comunità locali questi lavori di ricerca di cui vi parlavo. La cosa bella che abbiamo osservato è che i ragazzi che hanno partecipato volevano tutti progettare il loro futuro lavorativo in un contesto appenninico. Tramite questa scuola, cerchiamo di offrire alla comunità locale delle esperienze culturali e di formazione che altrimenti in questi contesti non ci sarebbero. Un’altra iniziativa è quella di creare dei gruppi di “ricerc-azione”, gruppi formati da ragazzi che creano una rete tra di loro e che, tramite il sostegno di ricercatori e amministrazioni, vengono aiutati a progettare la loro vita in Appennino. I progetti reali che dovrebbero esserci sono tanti, ma non sono così semplici e possono sembrare anche utopici. Questa comunque è l’esperienza che stiamo portando avanti con Boschilla nell’Appennino bolognese. Portare e riportare la cultura, la formazione e i saperi in questi territori che spesso sono estremamente carenti da questo punto di vista, penso possa essere un passo virtuoso verso il futuro.
Noi di Cinema e Ambiente Avezzano facciamo un grande in bocca al lupo ai ragazzi di Boschilla, nella speranza che i nostri percorsi si incrocino di nuovo.